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Omofobia “nel pallone”?

I 20 anni dal suicidio di Justin Fashanu, primo calciatore gay di fama internazionale a dichiararsi al mondo, i coming out dei calciatori, le iniziative dei club, la parentesi italiana e…

 

Nel mondo diversi club si stanno muovendo con iniziative anti-omofobia a Londra il presidente della Federcalcio inglese, Greg Clarke, ha tentato di organizzare un coming out collettivo per tutelare maggiormente la privacy del singolo dichiarando: “Propongo ai giocatori di alto livello che vogliono dichiararsi gay di farlo tutti insieme, ritengo che una persona non dovrebbe affrontare tutta la pressione da solo e che condividerla con altri possa essere d’aiuto”. L’uomo ammette: “Ho incontrato 15 sportivi omosessuali nelle ultime quattro settimane, tra questi c’erano anche dei calciatori e ho chiesto la loro opinione. È difficile trovare una soluzione perché molti calciatori gay sono felici come sono e non si preoccupano di come possano stare gli altri colleghi. Non voglio costringere nessuno ad uscire allo scoperto, deve essere una scelta personale”. Risultato? Nessun giocatore professionista si è offerto di partecipare, solo il campionato femminile, quello dei semi-professionisti e dei dilettanti si è dimostrato essere più aperto a riguardo.
In Danimarca la Federazione di calcio danese, in collaborazione con l’associazione calciatori e il Comune di Copenhagen, ha tappezzato con cartelloni pubblicitari contro l’omofobia le strade di tutta la capitale con un messaggio netto e chiaro: Fodbol For Alle (il Calcio è di tutti). Il centrocampista dell’Huddersfield, uno degli ambasciatori della campagna, ha detto: “L’omofobia è ancora parte del calcio ma insieme possiamo cambiare le cose, facciamo in modo che tutti si sentano benvenuti allo stadio, nei club e negli spogliatoi. Il calcio è il nostro sport, ci deve essere spazio per tutti”. Un bellissimo messaggio, semplice ed incisivo, che anche nella Nazionale italiana trova uno spiraglio di luce dopo le dichiarazioni infelici del passato di alcuni calciatori come Antonio Di Natale che asserì: “I gay restino nell’ombra, come la prenderebbero i tifosi”? Oppure Cassano che tempo fa dichiarò di non preferire i “froci in Nazionale”. Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori ed ex campione della Roma, ha partecipato al Forum Uefa Equal Game di Milano del 2017 dichiarando: “Nello sport bisogna essere se stessi, penso che oggi il mondo del calcio sia pronto ad affrontare l’argomento omosessualità”.
In Italia si parlò della possibile presenza di giocatori omosessuali nel calcio nel 1982 quando l’Italia di
Bearzot, impegnata nel Mondiale poi vinto dagli Azzurri, non stava andando bene e rischiava di uscire mestamente dalla competizione e la stampa, più o meno ironicamente – visto le scarse prestazioni in campo di alcuni atleti – ipotizzò un “inciucio” sentimentale tra alcuni giocatori. Nel mirino dei giornalisti la “coppia” Rossi-Cabrini. In quell’Italia d’inizio anni ‘80 la possibilità che l’omosessualità fosse presente nel mascolino mondo del calcio era ripudiata dai tifosi e dai calciatori stessi.
Ad ogni modo bisogna attendere gli anni ’90 per il primo coming out nel mondo del calcio. Ad avere il coraggio di rompere gli schemi è Justin Fashanu: primo calciatore di colore che ha dimostrato il suo talento giocando per il Manchester City e il Newcastle United. All’epoca il compenso del calciatore era pari a un milione di sterline. Lo sportivo dichiarò al mondo di essere gay attraverso un’intervista. La verità fu accolta con ostilità sia dal mondo sportivo, sia dalla comunità nera britannica. Lo stesso fratello John lo rinnegò pubblicamente e le reazioni ebbero un effetto devastante su Fashanu, che confessò di sentirsi “solo e disperato”. Negli anni a venire l’uomo tentò di rifarsi una posizione, ma con scarsi risultati. Fu lui stesso nel maggio del 1998 a togliersi la vita dopo essere stato accusato di stupro ai danni di un minorenne. Prima di suicidarsi il campione decise di scrivere un biglietto di addio spiegando non solo i motivi di quel gesto, ma la sua verità sull’accaduto ammettendo che il rapporto sessuale ci sarebbe stato, ma con il consenso del giovane. Fu quest’ultimo che al mattino avrebbe chiesto dei soldi al campione in cambio del silenzio. Ricatto al quale Justin si sarebbe rifiutato di cedere e che avrebbe dato vita a tutta la vicenda giudiziaria. Come siano realmente andate le cose lo sanno solo i diretti interessati, per tutti gli altri Fashanu era già colpevole ancora prima della sentenza. Colpevole di essere omosessuale. Quest’anno, e con esattezza il 2 maggio 2018, ricorre il ventesimo anniversario di quel triste epilogo.
Nel suo biglietto d’addio l’uomo scrisse: « Desidero dichiarare che non ho mai e poi mai stuprato
quel giovane. Sì, abbiamo avuto un rapporto basato sul consenso reciproco, dopodiché la mattina
lui mi ha chiesto del denaro. Quando io ho risposto “no”, mi ha detto: “Aspetta e vedrai”. »
«Sperò che il Gesù che amo mi accolga».
La sua morte pose fine al procedimento penale. Gli esami tossicologici, indispensabili per verificare o confutare l’accusa di avere narcotizzato il giovane, per negligenza non furono mai eseguiti dagli inquirenti. A quanto risultò da un’inchiesta inglese del 1998, su Fashanu non pendeva alcun mandato di cattura e la polizia del Maryland aveva lasciato cadere le accuse per mancanza di prove.
Ai giorni d’oggi, senza voler tenere in considerazione i tanti pettegolezzi che ruotano attorno a molti campioni italiani e stranieri, ad aver fatto pubblicamente coming out nel mondo del calcio ci sono:
Robbie Rogers: “Da bambino sognavo di diventare un calciatore professionista e di rappresentare il mio Paese davanti al mondo. Quando ero un adolescente, però, la paura e la vergogna mi hanno consumato. Ad un certo punto quel bambino impaurito che era dentro di me ha deciso che per inseguire il suo sogno non poteva essere del tutto trasparente e doveva nascondere la propria sessualità anziché mostrarla pubblicamente. I miei anni più felici da giocatore di calcio sono stati quelli in cui ho potuto attraversare lo stadio, a partita conclusa, e raggiungere alla fine del tunnel il mio compagno e mio figlio che erano lì ad aspettarmi”.

Yoann Lemaire è stato il primo, e finora l’unico calciatore francese, a rendere pubblica la propria omosessualità: “Dopo il coming out solo insulti e imbarazzi, il calcio non cambia. Per i tifosi di un’altra squadra è più facile urlare il loro odio e chiamarti pédé (frocio). Vengono allo stadio per sfogarsi, anche se non sanno dare un calcio a un pallone. Un calciatore avversario sa che può destabilizzarti con l’insulto. Così si sentono superiori, maschi, potenti. Ma più di tutti – continua l’uomo – i compagni possono essere crudeli e per prendere il tuo posto farebbero di tutto… ce n’erano alcuni disposti a umiliare e uno addirittura mi disse che s’imbarazzava a fare la doccia con me. Altri, mescolando la mia omosessualità con la loro fede, mi chiesero di non dividere più lo stesso spogliatoio”. Gli agenti e gli allenatori – conclude lo sportivo – consigliano di non parlarne e mantenere il segreto… La stampa, gli sponsor, la folla: devi affrontare critiche e il disprezzo spesso da solo”.
Anderson Luís De Abreu Oliveira nel 2006, a poche settimane dalla sua entrata ufficiale nel team del Porto, Anderson ha annunciato ai compagni di squadra di essere gay. La dichiarazione del giovane sportivo non ha però intaccato la sua carriera, che procede a gonfie vele.

Liam Davis, calciatore del Cleethorpes Town FC nella Northern Premier League, ha recentemente dichiarato al Daily Telegraph di non avere mai avuto problemi per il suo orientamento sessuale, in nessuna delle squadre in cui ha giocato, né con i compagni, né con gli allenatori, né con la dirigenza. Davis ha poi ammesso di conoscere 20 giocatori gay di tutta Europa che vivono ancora una doppia vita, ma che sarebbero pronti a fare coming out.
   
Thomas Hitzlsperger, ex centrocampista del Bayern Monaco, Aston Villa e Lazio si è da poco ritirato dopo una serie d’infortuni. L’uomo è stato il primo giocatore della nazionale tedesca ad ammettere pubblicamente la propria omosessualità dichiarando: “Io non mi sono mai vergognato di essere quello che sono, ma non è stato facile e c’è voluto del tempo. Negli ultimi anni c’è stato uno sviluppo positivo della cosa”.

Poi ci sono calciatori che oltre alle parole passano ai fatti e “sfidano” a cielo aperto ogni avversione nei confronti degli omosessuali, ci riferiamo al bacio in bocca che si sono scambiato in campo dinanzi agli avversari e a tutti i tifosi, i calciatori Gary Neville e Paul Scholes compagni di squadra nel Manchester United, e del bacio sulle labbra di Xabi Alonso e Steven Gerrard del Liverpool dopo la vittoria nella Champions League.

Omofobia  “nel pallone”?

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